I bambini abbandonati nell' 800

Valorizziamoci Home page Storia

-INDICE

L'ottocento: il secolo dei trovatelli

Sebbene il ricorso all’esposizione di bambini, come già visto, sia stato costantemente presente nel corso dei secoli, tra il XVIII ° secolo e il XIX° secolo è soprattutto nell’Europa “cattolica” che si assiste ad un trend evolutivo del fenomeno.
L'Ottocento è anche denominato il "secolo dei trovatelli", si registrarono oltre dieci milioni di bambini abbandonati, è per questo che in Europa, e anche in Italia, vennero create apposite strutture quali brefotrofi e ospizi per trovatelli.
Furono vari i motivi che spingevano i genitori, le madri in particolare, ad abbandonare i figli:

L’abbandono avveniva solitamente dopo il tramonto o alle prime luci dell’alba per non essere visti e identificati. Moltissimi bambini morivano nei primi mesi o entro i primi anni di vita e se sopravvivevano manifestavano spesso carenze e difficoltà di vario genere e di varia natura.



IL SISTEMA ASSISTENZIALE VENETO

Nel 1826, in Veneto, esistevano sette case adibite stabilmente alla raccolta ed al ricovero degli esposti provviste di ruota: una per ogni capoluogo di provincia, tranne che a Venezia, dove di ruote ne erano presenti due, una però era una filiale dell’altra.
Istituzioni simili mancavano a Rovigo e a Belluno, e pertanto gli esposti della prima città venivano trasferiti alla Ca’ di Dio di Padova, mentre quelli della seconda alla Pia Casa di Treviso.
Vi erano anche strutture di transito, provviste di ruota, che fungevano da tramite per gli ospizi centrali.
I bambini venivano infatti accolti in queste strutture per poi essere trasportati in quelle maggiormente attrezzate del capoluogo di provincia.
Questa pratica dava vita a due problematiche di rilievo:
  1. il passaggio dei bambini da una giurisdizione all’altra;
  2. il sistema favoriva gli abbandoni anonimi e illegali.
L’ingresso dei bambini negli Istituti Centrali si poteva realizzare attraverso: Per quanto riguarda i metodi di identificazione istituzionale i genitori legittimi avevano la possibilità di affidare il bambino all’assistenza pubblica, presentando una fede di povertà redatta dal parroco.

A livello locale, la vigilanza sugli esposti nei comuni veneti, ricadeva sui Regi Commissari distrettuali, sulle Congregazioni municipali e in particolare sui parroci: a questi ultimi era demandata la tenuta di appositi “registri di esposti”, nei quali si riportavano i nomi dei bambini affidati al baliatico, quelli delle nutrici nonché dei tenutari.
Solo a fronte di un’attestazione del parroco, in cui si garantiva che il bambino era vivo e ben nutrito, si liquidava la “mesata”, secondo tabelle prestabilite, alle balie.

Quando un bambino entrava nell’Istituto accogliente veniva spogliato: gli indumenti descritti nel registro ‘di Ruota’ e nelle schede di accoglimento costituivano un altro strumento di identificazione, assieme ai contrassegni, in previsione di una futura restituzione del bambino ai propri genitori. Il bambino veniva poi sottoposto alla visita medica per accertare che fosse esente da malattie contagiose, ed alla vaccinazione contro il vaiolo. Veniva quindi affidato alle cure di una delle nutrici interne.

Alle soglie dell’800 il baliatico esterno era una pratica consolidata presso molti istituti: esso era regolato da principi economici, ma a suo modo si rivestiva anche di caratteri morali (vedi il ruolo dei parroci).
Il baliatico esterno, le famiglie di allevatori a cui venivano affidati gli esposti erano soprattutto contadine e famiglie contadine, con questo sistema le comunità contadine furono il perno del processo di inserimento sociale degli esposti e le destinatarie dell’ideologia caritativa di matrice cattolica, seppur anche una fonte di sostentamento in quanto, a seconda dell’età del bambino, le balie e le famiglie venivano remunerate per il loro servizio.
Il Regolamento del 1836 prevedeva la presenza stabile di 6 balie che allattassero non più di 2 bambini ciascuna, ed il reclutamento di altre 6 balie esterne nei momenti di maggiore afflusso di bambini.

Nel 1859 si parlava di 10 balie stabili, nel 1871 di 15-20, fino a 25 in caso di malattie.

Nel 1836 responsabile delle nutrici era l’Ispettrice di baliatico, la quale doveva vigilare sulla loro alimentazione, sul mantenimento della pulizia e sulla ventilazione delle sale e dei corridoi del baliatico, vietando l’introduzione di animali domestici.

Dal 1850 aveva preso piede una maggiore attenzione ai metodi di allattamento: i bambini affetti da malattie contagiose venivano accolti in locali distinti dalla balieria e allattati artificialmente, per tutti gli altri si ricorreva invece alle nutrici.

(Maia Sekulic)

Per tornare all'indice

DALLA SANTA CASA DELLA PIETÁ all’ISTITUTO ESPOSTI di VERONA

La Santa Casa di Pietà di Verona, che costituisce uno tra i più antichi brefotrofi, venne fondata il 13 febbraio 1426 in seguito ad un’epidemia di peste, rappresenta la prima nota provvidenza veronese in favore dell’infanzia abbandonata.
Nacque come iniziativa benefica voluta dal Collegio dei Notai di Verona. La sede era presso il Palazzo Camerlenghi.
È probabile che abbia cominciato ad accogliere lo stesso anno della fondazione. Ricevette numerose donazioni da parte di privati grazie alle quali riuscì a portare avanti la sua opera di assistenza nei secoli successivi.
Nonostante questo, molte volte dovette ricorrere alle autorità venete e veronesi per far quadrare i bilanci, spesso in perdita, rispetto alle entrate.

Per tornare all'indice

XIX secolo

Nel 1802, dopo la spartizione di Verona tra francesi e austriaci la Santa Casa assistette 560 esposti, dei quali 246 allevati in sede e 314 all’esterno.

Col 1808 la Santa Casa cessò di essere un istituto autonomo e divenne un ramo della pubblica organizzazione assistenziale veronese.

Nel 1812 il governo francese decise di alloggiare la Santa Casa, da allora denominata “Casa degli Esposti” nell’ex sede del Conservatorio dei Derelitti, via Dietro Mura, non lontano dalla chiesa di S. Stefano. Sotto l’Austria, che si dimostrò spesso benevola con la Casa degli Esposti, la direzione venne affidata ad un medico, l’amministrazione a un privato cittadino, assistiti da 11 persone addette al funzionamento dell’Istituto più 2 sanitari, 2 religiosi e altre 10 persone addette a svariate mansioni.

Dal 1821 poteva assistere solo figli illegittimi e non più i legittimi: al 1° Novembre 1822 gli assistiti della Casa erano 920, dei quali 232 sistemati nell’orfanatrofio, 522 slattati con età inferiore a 7 anni e risiedenti presso famiglie private e 166 lattanti.
Il numero dei maschi e delle femmine erano numericamente simili e la mortalità molto alta, i maschi decedevano più frequentemente e le morti si registravano per la stragrande maggioranza fra neonati all’interno dell’istituto.

Nel 1824 il sacerdote Giambattista Moschini, con testamento, lasciò tutto il suo patrimonio all’istituto allo scopo di erigere un nuovo edificio ad asilo degli esposti maschi e femmine, di questo nuovo edificio venne incaricato l’architetto Barbieri che prima del 1838 aveva già dato il via ai lavori che a tappe e dopo continue interruzioni per mancanza di finanziamenti, venne concluso solo nel 1935. Durante i lavori per la costruzione della nuova sede, la Casa, a seguito della estensione ad essa del regolamento 21 giugno 1836 dell’Istituto degli Esposti di Venezia, mutò ancora denominazione sociale, assumendo il nome di Istituto Centrale degli Esposti di Verona. Il direttore e l’amministratore dell’istituto veronese vennero posti sotto l’immediata dipendenza della I. R. Delegazione e poi Deputazione Provinciale di Verona.

Nel 1837 assisteva 3.108 persone, 1680 di sesso maschile e 1508 di sesso femminile.
La sede dell'istituto era costituita da una serie di fabbricati, una parte dei quali di nuova costruzione (progetto Barbieri) ed il resto da una serie di vecchie e fatiscenti strutture, poi restaurate nel 1864-65.

Nel 1862 all'Istituto degli Esposti venne annesso alla Casa di Maternità, rimasta fino ad allora un reparto dell'Ospedale Civile, facilitando così l'accoglimento di bambini e madri evitando il trasporto da un istituto all'altro.

Nel 1877 l’Ospizio assistette 2.902 esposti della classe lattanti, infanti e adolescenti, dei quali 2.681 in allevamento esterno, diffuso per 6 province e 321 di nuova introduzione, provenienti dalla provincia veronese e dal Trentino, privato del proprio istituto per esposti dal governo austriaco che l’aveva portato a Innsbruck.
Per gli esposti l’Istituto rappresentava, oltre che un tetto e una fonte di sostentamento e cura, anche l’unico punto di riferimento, il depositario della sua identità personale.

Per tornare all'indice